fotografia

Maria Bruschi

Maria Bruschi, marchigiana, nata dopo la II Guerra mondiale dove i suoi genitori contribuirono alla lotta partigiana. Frequenta l’Accademia di Belle Arti a Macerata. Fin da piccola iniziano ad emergere le sue capacità grafiche ed artistiche: crea opere d’arte geometriche basate su diverse tecniche di stampa, si innamora della grafica e della fotografia. Dopo l’accademia ad Urbino é allieva di Albe Steiner, durante il suo corso realizzerà il Logo di Urbino, presentato da Steiner al Comune. Questo Logo viene ancora oggi usato per rappresentare la cittá. Dopo il diploma si sposta a Milano dove lavora a Crema per l’Olivetti sviluppando i primi caratteri arabi per la macchina da scrivere. È il periodo della rivoluzione femminista e delle lotte rivoluzionarie. Maria conosce Bruno Munari, Gillo Dorfles, la sua cara amica e artista Wanda Broggi e tanti altri con cui collabora come grafica e fotografa. La sua passione per la grafica continua a crescere e presto viene invitata ad insegnare al Corso di grafica della Società Umanitaria dal direttore Giorgio Pisano, a quella scuola che oggi é diventata la famosa scuola Bauer di Milano.
È il 1971 e mentre insegna si iscrive al Corso di Laurea in architettura. Siamo in pieno clima di rivolta e la facoltá di architettura ne é uno dei centri. Maria gira con la sua macchina fotografica documentando con le sue fotografie un periodo storico eccezionale, supportando il grande cambiamento del ruolo della donna.
Viaggiando per tutto il mondo studia e ricerca sia le tecniche di scrittura, che l’antropologia dell’architettura.
Nel 1976 si laurea con il relatore Alberto Seassaro su una fabbrica occupata; la tesi dal titolo “Analisi di Strutture Associative a Milano” riceve pieni voti (nel 77 l’abilitazione ad architetto).
Pochi anni dopo nascerà sua figlia, Maria continua sempre più forte e convinta la sua vita sola con la figlia, lavorando e viaggiando mostra alla figlia le bellezze e le diverse culture del mondo. Si immerge in popolazioni e culture diverse: indiane, sud americane, cinesi, russe, arabe, lavora anche nei Kibbuz in Israele, portando quasi sempre la figlia con lei e vivendo ogni volta completamente la cultura locale esattamente come gli indigeni.
Con la promozione come architetto Dirigente della Regione Lombardia, entra nell’ambiente culturale dell’ergonomia. Iniziano le ricerche ergonomiche e le conferenze. Conosce il Prof. Luigi Bandini Buti, il Prof. Giordano Pierlorenzi e il Prof. Melchiorre Masali, suo compagno di lavoro e di vita per più di un decennio. Con lui iniziano le ricerche sul progetto “L’Italia si misura”. Maria segue il progetto misurando centinaia di persone e bambini nelle scuole. L’obiettivo è quello di avere banchi e sedie a misura di bambino affinchè si possano prevenire le malattie derivanti da posture scorrette.
Dopo il pensionamento continua a viaggiare per tutto il mondo, arrivando fino al “fin du mondo”. Il suo piú grande compagno resta il suo cane Linus.
Come da sua volontà il suo funerale sará una grande festa. Il suo spirito rimane nel Monte Conero, monte sacro a cui si congiunge con tutte le donne sacre marchigiane come le Sibille.
Era una donna indipendente, caparbia, amante del viaggio, che sapeva raggiungere gli obiettivi che si era data nella vita come un’amazzone. La sua più celebre frase é “lo strumento definisce il segno”. In altre parole, proprio come si é capito in decenni di ergonomia, é il contesto che crea il risultato: un progetto é definito dal contesto sociale, geografico e culturale.
Sua figlia sta cercando di scrivere la sua storia come da suo volere, e invita amici e parenti a contattarla per via Telefonica o whatsapp (tre quattro otto zero cinque uno otto otto sei tre)
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